Non è facile definire, oggi, cos’è un designer. Fa fatica anche Wikipedia, che alla voce Designer nella versione in lingua inglese rimane molto molto vaga mentre nella versione in lingua italiana riserva al designer una timida parentesi nella voce Progettista. Non posso certo fare meglio di Wikipedia, quindi mi limiterò a raccontare quello che penso, senza alcuna pretesa di essere preciso o esaustivo.
Quando qualcuno estraneo al mondo del design mi chiede di raccontare in due parole cos’è un designer io faccio davvero fatica a spiegarlo. Prima di tutto perché di per se non è facile nemmeno definire con precisione cos’è il design. Il rischio è sempre lo stesso, dare del designer una definizione troppo vicina a quella del tecnico progettista, o dell’artista, mentre il designer non è nessuna delle due cose, e non è propriamente tutte e due le cose insieme.
Forse la definizione più semplice di designer è questa: il designer è un traduttore.
Si mette sempre in mezzo a due entità. Si mette tra azienda e mercato, si mette tra produzione e marketing aziendale, si mette tra oggetto e utente, si mette tra idea e macchina, tra sogno e realtà, e viceversa. Usando la filosofia, il designer è una sorta di demiurgo mediatore tra anima e materia. Ma il demiurgo nella cultura classica è pur sempre un semidio, e il designer (perlomeno quello bravo) è molto lontano dall’essenza divina. Anzi, i migliori designer sono senza dubbio quelli con tanta immaginazione ma soprattutto con i piedi ben piantati per terra.
Usando una metafora più semplice, il designer è una specie di vigile urbano creativo, che risolve gli ingorghi di un enorme incrocio di idee, creando nuovi modi di interagire con gli automobilisti che portano a spasso queste idee nella loro vettura, immaginando nuovi linguaggi di comunicazione, nuove tecniche di circolazione, nuovi percorsi, nuove direzioni. Usando una metafora informatica, il designer è un HUB, un centro di smistamento dati, un convogliatore e interprete di segnali.
E cosa non è un Designer? Un designer non è un inventore. Può esserlo, ma non deve per forza inventare cose nuove, nuovi meccanismi, nuove tecnologie, nuovi materiali, nuovi processi industriali per essere un designer. Un designer non è uno stilista. Può esserlo, ma non deve per forza disegnare oggetti alla moda, allestimenti glamour, grafiche cool per essere un designer.
Ci sono designer che lavorano quotidianamente nei centri di ricerca, negli uffici tecnici, e con la loro cultura, creatività, intuito e passione riescono a indicare a ingegneri e tecnici strade inesplorate che portano a soluzioni innovative, a brevetti. Ci sono designer che con la loro cultura, gusto, attenzione ai dettagli, empatia con la società, riescono a disegnare forme che portano a prodotti e servizi capaci di farci sognare. Ma il designer non è un distributore automatico di cose carine e di brevetti, il designer è un professionista del dialogo, fa chiacchierare amabilmente e fruttuosamente forma e funzione, produttività ed estetica, ecologia e prestazioni, profitto e sostenibilità.
Per fare questo un designer deve avere una specifica preparazione tecnica, una profonda preparazione culturale, una spiccata visione globale.
Se dovessi scegliere un ottimo traduttore simultaneo per presenziare ad un incontro tra due persone di diversa nazionalità, sceglierei un professionista che conosce bene la grammatica e il lessico delle due lingue da tradurre, ma che conosce anche la cultura che ha dato vita a queste due lingue, e possibilmente che abbia una predisposizione a mettere a proprio agio le persone e stimolarle al dialogo, per fare in modo che i due interlocutori stranieri non solo si capiscano, ma si comprendano e interagiscano. Un designer in fondo fa proprio questo. Il designer industriale, in particolare, fa questo lavoro di traduzione tra azienda e mercato, tra dirigenti aziendali e consumatori, tra esigenze produttive e necessità commerciali.
Questo è quello che facciamo, noi designer. Come lo facciamo? attraverso gli innumerevoli strumenti che ci offre il design, che prima ancora di essere un metodo, è una predisposizione mentale. Si chiama design thinking, e come tutte le cose si può imparare. Quello che non si può imparare, e che distingue un eccellente designer da uno mediocre, è la passione, l’impegno, la curiosità, la cultura, l’istinto, tanto nel design quanto in qualunque altro lavoro, e nella vita.
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