Crowdsourcing: ovvero letteralmente reclutare risorse dalla folla. Detta così ci si immagina un fiume di gente stile Woodstock che si appresta a fare chissà che cosa, in realtà il crowdsourcing nasconde, spesso, molta solitudine. Ma cos’è, nello specifico, il crowdsourcing?

Il crowdsourcing è un modello di relazione, in particolare tra azienda e professionisti, che permette di sviluppare un progetto utilizzando un bacino molto ampio di persone. Una sorta di versione aggiornata e corretta dei cosiddetti “concorsi di idee”. Si tratta quasi sempre di persone che nella solitudine della loro scrivania elaborano idee e progetti che inviano in massa attraverso internet ad un committente (l’azienda o la società di servizi che la rappresenta) la quale poi sceglie il migliore e lo ripaga per il lavoro svolto.

Ecco la prima insidia: le motivazioni. Spesso i freelance o i professionisti che partecipano a progetti di crowdsourcing lo fanno per riempire periodi di calo di lavoro, per riempire il tempo libero, ecc… quindi con scarsa passione e molta approssimazione. Altro problema è la remunerazione, non c’è nessuna garanzia che il vostro prodotto venga scelto, quindi molto spesso si lavora per pura passione e senza introito alcuno, o con miseri rimborsi spesa.

L’insidia per l’azienda è quella di ottenere da un progetto di crowdsourcing una melma informe di accozzaglie difficili da districare, dalla quale è molto complesso e faticoso ricavare informazioni e risultati utili per i progetto che si voleva sviluppare.

Ma ci sono anche le note positive. Tra queste l’opportunità per le piccole aziende che non hanno possibilità di elevati budget di avere a costi vantaggiosi degli spunti progettuali che provengono da una massa di individui che da soli non avrebbero potuto organizzare. Per le grandi aziende il crowdsourcing è un veicolo interessante di ricerca di mercato, considerato il fatto che queste iniziative possono entrare in contatto con target specifici di professionisti.

Anche per il giovane professionista qualche lato positivo c’è: la possibilità di ampliare il portfolio progetti (anche se poi non saranno scelti dal committente sono sempre esperienze di sviluppo su un brief aziendale specifico) e talvolta la possibilità di vedere remunerato il proprio lavoro.

Personalmente sono scettico sull’efficacia di questo strumento progettuale, ma senza dubbio se ben strutturato e ben gestito da aziende e società di intermediazione, c’è la possibilità di sviluppare interazioni interessanti tra l’impresa e la “folla” di freelance coinvolti.